Quando Gesù viene messo in croce «si fece buio su tutta la terra» (Mt 27,45). Questo buio è calato anche sulle vite dei discepoli, specialmente di Pietro, che si è fatto prendere dalla tristezza, riuscendo soltanto a guardare il suo errore. Così, pian piano, l’esistenza di Pietro si è svuotata tornando a quella di prima di conoscere Gesù.
Dalla tristezza allo stupore
Gli apostoli non sono più i Dodici, sono diventati gli Undici: Giuda non fa più parte di questo gruppo.
Quell’uomo, che credevano il Signore, è morto. Quasi tutti i discepoli l’hanno abbandonato sulla croce, anche Pietro: «erano in lutto e in pianto» (Mc 16,10). L’inizio della storia della Chiesa è caratterizzato da una profonda tristezza, non solo per la sofferenza di una morte, ma anche per la delusione di aver tradito Gesù.
È in mezzo a questa tristezza che Gesù, ormai risorto, si mostra a Maria di Magdala e chiede di riferire ai discepoli che lui è risorto, che al sepolcro erano rimasti soltanto i teli che avvolgevano il corpo del Signore. All’inizio nessuno di loro ci crede, «Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore» (Lc 24,12).
Gesù appare ai discepoli, non li lascia nel dubbio, desidera mostrarsi anche a loro. La sua nuova e diversa presenza non cancella la tristezza di prima, ma la abita e porta lo stupore. «Per quanto la vita possa essere piena di contraddizioni – dice papa Francesco – di desideri sconfitti, di sogni irrealizzati, di amicizie perdute, grazie alla risurrezione di Gesù, possiamo credere che tutto sarà salvato». Questa è la speranza che tanto ci richiama il Giubileo: vivere la nostra tristezza, affidarla al Signore perché, con la sua risurrezione, possa trasformarla in gioia.
Dall’errore all’amore
Gesù fa ancora di più. Purtroppo, non basta così poco perché la tristezza vada via dalla nostra vita, c’è bisogno di farci i conti. Anche se Pietro aveva visto il Risorto, torna alla sua vita di prima e si ritrova ancora a fare il pescatore, senza riuscire a prendere nulla.
La scena che si presenta è quella dell’inizio della storia di Pietro, quando ancora si chiamava Simone, come se Gesù non avesse mai fatto parte della sua vita. Ma Gesù ne ha fatto parte e continuerà a farne parte ancora per un bel po’.
Quando riconosce il Signore, Pietro non dice come qualche mese prima: «Allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8), anzi, gli va incontro il più velocemente possibile, addirittura gettandosi in acqua; se prima desiderava la lontananza, ora desidera stare vicino a Gesù.
Proprio perché la tristezza sia vinta, bisogna fare i conti con essa.
Come per tre volte Pietro ha rinnegato di conoscere Gesù, così per tre volte Gesù lo invita a manifestargli il suo amore: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,15.16.17).
L’errore di aver rinnegato Gesù è diventato il punto di partenza per dire il proprio amore. Gesù, a partire da questo errore e da questa professione di amore, chiama Pietro ancora una volta: «Seguimi» (Gv 21,19) e lo manda in missione ad annunciare il suo Vangelo.
Il dono dello Spirito Santo
Nessuno di noi riuscirebbe a fare qualcosa di buono senza l’aiuto del Signore, neppure Pietro, e Gesù lo sa. Per questo Dio sceglie di donare agli uomini lo Spirito Santo, così da poter diventare suoi testimoni credibili.
Lo Spirito Santo non è soltanto sceso su Maria e gli Apostoli duemila anni fa, continua ad esserci donato anche oggi.
Con il sacramento della Cresima siamo confermati nello Spirito Santo e ci vengono ridonati i suoi sette doni, con i quali abbiamo la responsabilità di diventare testimoni di Gesù.
L’essere testimoni di Gesù è una vocazione vera e propria, rivolta a ciascuno di noi. Pietro prende sul serio questa vocazione, che si compirà a Roma qualche anno dopo, quando sarà martire, cioè, letteralmente, testimone.
Tratto dal numero 4 (Aprile 2025) di “Fiaccolina”